Metodologia di lavoro


La coltura in vitro offre il vantaggio di poter raccogliere in uno spazio esiguo molti genotipi diversi, oltre alla possibilità di attuare una moltiplicazione massale in tempi relativamente ridotti. Altri aspetti che rendono vantaggioso il ricorso a questa particolare tecnica sono la possibilità di effettuare il risanamento fitosanitario da virus, viroidi e batteri osi, attraverso la tecnica della termo e crio-terapia. Inoltre, attraverso la conservazione a basse temperature (tra 0 e 5°C) e la crioconservazione in azoto liquido, è possibile stoccare piccole porzioni di materiale vegetale (cellule, tessuti, plantule) per periodi di tempo prolungati (da alcuni mesi fino a diversi anni).


Il protocollo adottato per il trasferimento in vitro del germoplasma prevede le seguenti fasi, che sono state adattate a seconda della tipologia del materiale (specie, condizioni vegetative) e del periodo di esecuzione dell'operazione:

  • isolamento delle gemme (dormienti o in fase di sviluppo; apicali e/o ascellari);
  • pre-lavaggio in acqua e Tween 20© per alcuni minuti;
  • immersione in alcool etilico al 75-95% per alcuni secondi;
  • immersione in NaOCl (concentrazioni dall'1 al 4%) per alcuni minuti;
  • risciacquo in acqua sterile e bagno in soluzione acquosa contenente Poli-Vinil-Pirrolidone (PVP) (1g/l);
  • lavorazione sotto cappa a flusso laminare (deperulazione, ripulitura, prelievo del meristema) e trasferimento in vasi contenenti un substrato agarizzato specifico (terreno Murashige&Skoog (1962), con sali dimezzati e l'aggiunta di 1 g/l di PVP) e successiva collocazione in cella climatica (23±1°C, fotoperiodo di 16 ore di luce).

Le sterilizzazioni sono state ripetute in diversi momenti che, in base allo stato fisiologico delle gemme, si possono raggruppare in due periodi:

  • tardo inverno, mediante gemma dormiente con fabbisogno in freddo raggiunto, tramite prelievo di apice meristematico allo stereomicroscopio;
  • primavera-estate con gemme in piena fase di sviluppo vegetativo, tramite semplice prelievo della gemma apicale e/o ascellare da germogli non lignificati.

Nell'ambito della coltura in vitro la fase di sterilizzazione resta tra le più delicate e difficili, non tanto in termini di esecuzione quanto in termini di successo finale.

Generalmente, infatti, solo un piccolo numero di gemme supera indenne questo momento. Il problema principale è dato infatti dalla carica di spore e cellule di microrganismi come funghi, lieviti e batteri che normalmente ricopre l'epitelio dei tessuti vegetali e che nelle condizioni di crescita controllata, tipico della micropropagazione, trovano un terreno fertile dove propagarsi finendo con l'avere il sopravvento sugli espianti vegetali. L'obiettivo di questa fase è quello di riuscire ad eliminare questa carica contaminante senza compromettere la vitalità delle gemme o dei tessuti meristematici che si vuole trasferire in vitro. La difficoltà consiste proprio nel trovare il giusto equilibrio tra la concentrazione dell'agente sterilizzante, la durata del trattamento e le condizioni del materiale di propagazione utilizzato, allo scopo di allestire colture asettiche.


Nella pratica tuttavia i problemi non terminano con la sterilizzazione. Gli espianti che superano questa fase devono infatti raggiungere la piena stabilizzazione, fase al termine della quale hanno acquisito la capacità di crescere e moltiplicarsi in un ambiente completamente artificiale come quello dato dalle condizioni della coltura in vitro. Non è scontato, pertanto, che una gemma risultata sterile e vitale riesca poi ad adattarsi alle condizioni del vitro, ragione che implica la necessità di sterilizzare un numero sempre piuttosto elevato di espianti.


Il materiale che riesce a superare queste due fasi è poi trasferito su substrati nutritivi la cui formulazione è studiata per ottenere un accrescimento ottimale degli espianti ed è specifica per ogni genotipo. In questo modo i singoli germogli sono indotti a crescere aumentando di numero attraverso ripetuti cicli (subcolture) di proliferazione e garantendo la costituzione di adeguati stock di materiale. Questo permette, in un secondo momento, di utilizzare una parte del materiale per le diverse attività di studio e ricerca, quali la crescita in condizioni rallentate (Slow Growth Storage) e la produzione di piantine vitro-derivate.


CONSERVAZIONE ALLE BASSE TEMPERATURE (SLOW GROWTH STORAGE)

Questa particolare metodologia consiste nello stoccare a basse temperature (generalmente tra 0 e 5°C) il materiale in micropropagazione. In queste condizioni il metabolismo dei germogli rallenta sin quasi a fermarsi, dato che le cellule entrano in una fase di quiescenza più o meno totale: ciò permette di ritardare fino a molti mesi il tempo tra una subcoltura e la successiva, con ovvi vantaggi sia in termini di costi e di lavorazione, che in termini di riduzione del rischio di contaminazioni ed insorgenza di possibili mutazioni genetiche indotte dalla ripetuta proliferazione.


Nello specifico il protocollo adottato prevede lo stoccaggio del materiale micropropagato per tempi di 3, 6, 9 e 12 mesi in un armadio climatico (fitotrone) settato a 4,3±0,3°C e con fotoperiodo di 12 ore di luce. Al termine di ciascuno di questi periodi di frigoconservazione gli espianti sono trasferiti in cella climatica (a 23°C) per un normale ciclo di proliferazione, per poi essere nuovamente reinseriti in fitotrone per un nuovo periodo di frigoconservazione pari al precedente. Questo ciclo viene ripetuto fintantoché gli espianti si mostrano capaci non solo di resistere alle basse temperature ma anche di riprendere a svilupparsi una volta riportati alle normali condizioni di crescita. Il protocollo di frigoconservazione è stato messo a punto e testato nel corso degli anni su molte delle varietà presenti in collezione.